mercoledì 30 settembre 2009

GENERAZIONI


Contavo che,in ruoli diversi, sono nella scuola da cinquant'anni.
Quanto tempo,meta' di un secolo, quasi un soffio.
Eppure c'è tanto da riinventare,quanto è bianco il futuro che si apre ogni giorno.

Nel mio ultimo libro pubblicato'Pane a colazione',volevo mettere in luce il gioco degli affetti,niente di originale in fondo,sta gia' cadendo nel dimenticatoio mentre ho in cantiere il prossimo lavoro, ma non me ne rammarico.
La scrittura è un gioco terapeutico di cui ringrazio tutti i cieli,va bene cosi', il resto è 'optional'.
Ma mi piacerebbe rilanciarlo all'attenzione,perche'il rapporto tra le generazioni è cosi' fondamentale e delicato che costruisce il profilo del nostro futuro.
Raccolgo, in questa direzione, alcuni dati confermati da chiacchiere occasionali con coetanei che guardano con affetto ed attenzione figli e studenti.
Intanto, notiamo tutti che la nostra generazione-cinquanta-sessantenni di oggi-non è piaciuta alle giovani leve - che le leve dovrebbero davvero gia' averle nelle mani, invece di stare nella anticamera della storia.
No, non siamo piaciuti.
Di noi è stata registrata la fatica,non la felicita'.
E questo i 'ragazzi' non lo accettano.
Attorno avevano il trionfo dell'edonismo sfrenato e in casa adulti che facevano fatica,magari proclamando vacanze strabilianti o divertimenti.
C'è una intuizione dell'altro, una delicatezza di percezione che non si fa a parole,passa nelle vene e nel respiro,costruisce storie parallele,determina scelte.
Non abbiamo lasciato coraggio,ma titubanze.
Abbiamo magari lasciato velleita',ma non coraggio.
Non so prevedere a cosa questo portera':per ora sta portando ad un effimero, ad una precarieta' strutturale profonda,anche dietro mentite spoglie di costruzioni stabili.
Il coraggio dovrebbe partire dalla lucidità dell'individuazione,invece vedo una serie di etichette,di sigle,di giochi all'impronta,di tribu' che ballano insieme per non saper stare soli.

Dovremmo parlarcene, a lungo, in pace,con cuore chiaro di intenti.