lunedì 5 maggio 2008

VERONA


Fantasmi mi si accavallano nella mente, attorno al dolore legato a quell'assurda morte, la morte del ragazzo di Verona pestato da cinque neonazi,testerasate, balordi, ,nonsocosa.
La prima immagine mi riporta al 1976: una mia zia, di origine praghese, moriva, dopo un terribile incidente stradale. Morte cerebrale, rimase cinquantacinque giorni in coma,come un vegetale. Ero una ragazzina, e fu la prima volta che 'vidi'. Vidi cosa è l'essere umano, quando gli togli l'anima.
Ivana, cosi' si chiamava mia zia, aveva ventinove anni, la stessa età del ragazzo di Verona massacrato,altra storia, identico finale.
Altri ricordi, immagini della terra che circonda Verona.
Era il 1978(?),mi pare,ero supplente a Lazise, una località deliziosa sul lago di Garda, supplenza temporanea, tre settimane.
Nella trattoria in cui alloggiavo,a due passi dal lago, quando seppero che venivo dalla Romagna mi guardarono in cagnesco.
Romagna, comunisti, terroni,anarchici, gentaccia. Ero inattaccabile,il mio-allora-fidanzato aveva i capelli ricci e un giaccone non elegante-in una foto in Piazza Bra sembriamo due evasi-,ma era inattaccabile anche lui.
Gente perbene, anche se 'di la'-
Era ridicolo,perche' mentre facevo foto e dicevo le mie fantasie sull'aria lacustre, dolce e melensa, che contrasta l'aria salata, irrequieta della costa, le figlie del padrone della locanda che mi ospitava soppesavano stralunate le mie parole, stupite di non trovarvi alcunche' di 'pericoloso'.Attorno comparivano i primi manifesti della 'Liga veneta',cattivi, stilizzati.
Altri fantasmi, ma forse questa me la sono sognata.
La scena è il bar di una scuola, un ventisei di Aprile,forse dieci anni fa.
Una collega mi racconta che il giorno prima è stata a Predappio-chi non lo sapesse, luogo natale di Mussolini-e,cicisbeando, colloquiale, amabile, aggiunge che la mia'penna' avrebbe potuto dare il meglio, in quella situazione.
La situazione è che lei, il giorno prima, ha caricato una macchinata di studenti di un liceo classico della mia citta', in camicia nera, a commemorare un anti-venticinque aprile.
-No, grazie.-avevo detto io- in casa mia, da sempre, semmai il venticinque aprile, si va a Marzabotto-
Il caffe' mi era andato di traverso, ma del resto la realtà è quella che è. Siamo qua, stralunati, a sparar fendenti al vuoto,ci avevo fatto il callo.
Ora, mi chiedo:cosa hanno detto per anni,al giovane nazi reo confesso, i genitori, a casa, i preti, che sicuramente ha frequentato-il vescovo ha parlato di balordi che non fanno testo-, i professori, che gli hanno permesso di arrivare alla fine di un prestigioso liceo classico di una delle piu' ricche,curate, rinomate citta' d'Italia?
Cosa gli raccontavano a tavola, davanti al vino, davanti alla polenta,cosa gli dicevano degli 'altri'?
Quanto odio, quanta idiozia gli hanno insegnato. Che non me la raccontino il vescovo, il sindaco, il questore e tutto il coro che questa è un'azione di balordi.
No, questa è un'azione culturalmente colpevole, e i colpevoli ci sono.