lunedì 26 aprile 2010

AMOS OZ/SCENE DALLA VITA DI UN VILLAGGIO


Amos Oz,'Scene dalla vita di un villaggio',Feltrinelli


Un libro che va ri-letto.
Prima si legge, e corre via, come un buon pasto domestico, poi si deve ri-leggere,per tentare di carpirne il mistero sotto i movimenti e i pensieri appena accennati di quei personaggi apparentemente qualunque.
La vedova che accudisce il vecchio padre semidemente,impuntandosi su particolari che possano garantirne la dignità(che sappia allacciarsi bene gli abiti, che tenga il bagno pulito).
Lui, invece,sente dei rumori,li sente di notte,sotto casa e lo dice anche al giovane arabo cui la figlia ha dato in affitto un capanno.
Sono rumori inusuali, irrazionali,che vengono dal buio.
Sono il suono lontano di un dolore che oltrepassa la storia,che si infila nell'ordine apparente dei giorni di questi che,misteriosamente,non riescono-almeno mi pare-ad essere dei derelitti.
Perche' sono coscienti, consapevoli, e nella consapevolezza consumano i loro errori e i loro smarrimenti.
La consapevolezza li rende in parte titanici.
Come il diciassettenne che vagheggia l'amore per la trentaquattrenne bibliotecaria, o il sindaco del villaggio, che la moglie abbandona, solo con un biglietto di accompagnamento.
Cosa sta nella cantina di questi personaggi?
Tenta di spiegarlo lo studente arabo Adel al vecchio Pesach:''Il nostro avvilimento è un po' per colpa vostra e un po' per colpa nostra. Ma il vostro viene dall'anima'
Personaggi che fuggono, e non si sa se ritorneranno, e neppure dove siano fuggiti.
Come il nipote dell'insegnante quarantacinquenne Ghili, Ghideon, che doveva arrivare dalla zia-che aveva preparato per lui con cura un accogliente ambiente domestico-e invece non arriva.

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